GIUSEPPE MARCHIORI - Semeghini fa proprio un tema coloristico del Greco, riportandolo alle tonalità dell'affresco, nella costruzione delle figure per masse liberamente tracciate. Sembra un grande abbozzo e invece è una composizione unitaria, sostenuta e risolta dalle linee essenziali, anche se il procedimento è per macchie colorate, in quanto sotto il velo del colore si avverte, come sempre, la rigorosa tessitura grafica delle forme. ... alla fine, il pittore supera il d'aprés, per ricondurci a capire meglio la verità del suo mondo poetico. Il Caustico, l'ironico Semeghini ha sempre saputo vedere al di la di un volto e di un effetto di luce, senza abbandoni romantici, senza tentazioni illusionistiche, proiettando interamente la sua anima in quella favola delle linee e dei colori, che era per lui, l'unica vera realtà della sua vita.
GUIDO BALLO - ....E' una luce mattinale, nitida, senza ombre: la composizione, anche quando sembra frammentaria, è calcolata negli spazi e nei valori cromatici con impercettibili asimmetrie, con ritmiche dissonanze in movimento. La grazia e la dolcezza di Semeghini stridono sottilmente.
VIRGILIO GUIDI - ....Semeghini colloca sulla tela le sue immagini, si semsibilmente, ma anche meditatamente come un quattrocentista. Egli, figlio del tempo, si è rifugiato per salvarsiin una particolare concezione e visione che, se fosse stata meno episodica, sarebbe apparsa di gra lunga al di sopra delle espressioni mentali e pittoriche dei suoi contemporanei. Egli preannuncia una visione di luce e di spazio, e una nitidezza di colori e una purezza di mestiere, eccezionali. A conti fatti, è più facile avvicinare lui agli interessi di oggi che ogni altro maestro della prima metà del secolo.
Pio Semeghini è nato a Bondanello di Quistello (MN) il 31 gennaio 1878, da Giuseppe e da Emilia Zanini. Dal passaporto rilasciato nel 1915 ricaviamo i connotati: altezza 1.66, capelli castani, occhi cerulei, lineamenti generali e corporatura regolare; da una confessione del 1933 all'amico e critico Giuseppe Marchiori, conosciamo il carattere:"Vengo da quella gente di confine fra il Mantovano, scorza rude, testa quadra, generoso ottimismo, forte attaccamento alla terra grassa, e il Modenese, spirito scettico e sottile, sempre pronto a scherzare sulle più sacre cose; e credo d'esser rimasto l'uomo di quel confine". Pio, terzogenito di quattro fratelli, più di loro insofferente ad ogni disciplina, abbandona presto gli studi regolari. Il padre, di carattere burbero quanto era dolce la madre, nel 1894 lo invia a Milano in cerca di un mestiere: li prova tutti, ma soprattutto prova l'ebbrezza della rivolta ed una notte di carcere per i moti contro il generale Bava Beccaris, un brevissimo esilio-fuga a Lugano e il ritorno a Modena, dove la famiglia si era da tempo trasferita. Ottiene finalmente dal padre di potersi dedicare all'arte: frequenta un anno di accademia di belle arti, prima a Modena poi a Firenze; ma il suo sogno è la presa diretta con l'arte moderna. Si realizza a Parigi, dove si reca nel 1899; più che alla pittura, durante il primo soggiorno, si dedica agli incontri con gli anarchici e i socialisti come S. Faure, M. Sembat, O.Mirbeau. Il primo soggiorno parigino ha termine nel 1901. Rientra. L'aria di Modena è irrespirabile; perciò nel 1902, questa volta per studiare, è di nuovo a Parigi: la sua vera scuola sono il Louvre, il Musée du Luxembourg e l' Académie Julian, in rue de la Grande Chaumière, nella libera scuola di nudo. Per vivere si adatta a qualsiasi lavoro: come il rivenditore di statuette per i negozi di Bojeuseries di St.Sulpice e, quando va bene, illustratore per giornali o per scene di teatro. Disegna, incide, ed inizia a dipingere: non sembra con molto successo, visto che ogni estate torna a Modena, per tentare la vendita della produzione parigina e per ristorarsi di denaro. Nel 1905 è a Roma; nel 1907 a Modena (ricordo personale di Pio, riferito a Magagnato in occasione della Antologica veronese del 1956) ed ivi ancora nel 1911 (per una mostra di incisioni e disegni). A Parigi incontra - compagni di povertà e di stenti - Ardengo Soffici e Gino Severini; conosce Modigliani e tutta la "colonia italiana"; non desidera incontrare Picasso, benché abitasse a pochi passi dal Bateau-Lavoir. Nell'autunno del 1912, Gino Rossi, che forse ha conosciuto a Parigi poco prima, lo invita a Burano, l'isola magica della pittura veneta del 900, su cui si è esercitata la agiografia semeghiniana, dimentica delle dichiarazioni dello stesso pittore: "Millenovecentododici. E' così lontano quel periodo che, quando ci penso, mi sembra quasi di aver sognato ... Si parla spesso di Burano. Niente di più falso. Ci trovammo casualmente in un luogo ideale per artisti di allora, isolato dal mondo e pur così vicino a Venezia. Il primo che ci venne fu Moggioli. Poi vennero Rossi e Scopinich. Poi ci venni io, nel '12. Avevamo in comune la fede e la passione. Si stava insieme tutte le sere, ma non s'è mai pensato di costituire un gruppo. Anche per questo, forse, si andava d'accordo, pur essendo così diversi l'uno dall'altro. Tutti noi, salvo Moggioli, avevamo vissuto a Parigi; e l'insegnamento di Cézanne, di Renoir, di Gauguin, di Van Gogh non era stato vano per noi che li avevamo studiati a fondo ... Nino Barbantini è stato per tutti noi il fratello ... L'arte era l'unica cosa che contasse; al resto non si badava. Il problema economico aveva solo un nome: miseria. Ma la prendevamo allegramente, come un pretesto per riderci su. Si lavorava molto e sul serio, e soprattutto soltanto per noi, senza chiasso, senza pensare al giudizio dei critici e del pubblico. Per vivere, dopo, quando la pace fu rotta e la compagnia dispersa, dovemmo attingere sempre alle riserve di quegli anni..."(G.Marchiori, Pittori a Burano, "Corriere Padano" del 12.1.1935). Nel 1913 Semeghini diviene redattore corrispondente da Parigi del "Corriere Italiano": la professione di giornalista lo accompagnerà anche al rientro, almeno fino alla cattedra di decorazione all'istituto d'arte "Augusto Passaglia" di Lucca nel 1927. Semeghini non vuol farsi sorprendere a Parigi dalla guerra: ripone in magazzino il mobilio e le attrezzature dell'ultimo studio che aveva tenuto in Parigi in Rue Ernest Cresson, e torna in Italia, a Modena. La guerra, non più giovane, la farà solo dopo Caporetto, in fureria, con permesso di uscire dopo pranzo per dipingere. Finita la guerra, il suo sogno e i suoi progetti sono tutti volti al rientro a Parigi. La morte del padre e l'eredità di 60.000 lire sembrano permettergli la realizzazione del sogno. Convinto di arricchire ancor più la già cospicua somma, Semeghini se la gioca: perde tutto. Non gli rimane che lavorare. Barbantini gli offre l'occasione con la "XI Esposizione della Fondazione Bevilacqua La Masa a Ca' Pesaro" (luglio-agosto 1919): Semeghini espone per la seconda volta in Italia (della prima mostra a Modena, nel 1911, non conserviamo né catalogo né titoli); si tratta quasi di una personale con 22 pitture ad olio, dodici disegni e tre acqueforti. Una rivelazione al pubblico e alla critica. Carrà, che non conosce l'età di Semeghini, fa gli auguri al giovane artista "che ha la stoffa". Nel 1920 Semeghini è fra i primi firmatari del cartello dei dissidenti della XII Ca' Pesaro, che esporranno alla Galleria Geri-Boralevi alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco: Semeghini presenta 22 oli, insieme con Carrà, Gino Rossi, Casorati (che aveva rinunciato alla Biennale per Ca'Pesaro),L. Dudreville,A. Martini, T.Garbari, A. Zamboni ed altri. La critica lo riconosce caposcuola per i giovani artisti veneti. Si susseguono gli inviti e le mostre (Roma, per il "50°di Roma Capitale", Ca' Pesaro, 2° Mostra dei Dissidenti a Venezia, Prima Biennale Romana, Galleria Pesaro e Galleria Vinciana di Milano). Nel 1921, a conclusione di una carriera di scultore poco nota, ma certamente praticata, Semeghini colloca sulla facciata del Duomo di San Donà del Piave tre grandi statue in cemento dedicate alla Vergine, San Pietro e San Paolo (distrutte nell'ultima guerra). Nel 1920 aveva aperto lo studio alle Zattere di Venezia in calle dei Frati 940; nel 1922 abbandona lo studio di Modena; nello stesso anno espone alla"Fiorentina Primaverile" presentato in catalogo da Gino Damerini, e per la terza volta alla Galleria Geri-Boralevi con un'ampia personale composta di 75 opere tra piccole e grandi: questa prima completa personale riscuote ampio successo di critica. Altra mostra personale allestisce nel 1923 alla "Bottega di Poesia" di Enrico Somarè a Milano, mentre nella preparazione della 14° Ca'Pesaro di Venezia, tramite il giovane pittore veronese Angelo Zamboni, viene in contatto con il "Gruppo Veronese", allora assai vivace e attivo, composto, oltre che da Zamboni, da Guido Farina, Orazio Pigato e Albano Vitturi: con tutti manterrà rapporti di amicizia, stima e professionali. Le due mostre sono seguite con interesse dai critici Ugo Nebbia, Pino Tedeschi, Elio Zorzi, Ezio Camuncoli, Vittorio Pica e Carlo Carrà che così di lui scrive "Il sintetismo strutturale e la leggiadria cromatica di Pio Semeghini convincono d'altra parte abbastanza profondamente per non mettere neanche in discussione il problema particolare che persegue con tanto fervore il giovine pittore modenese ... questi lavori di Pio Semeghini sono or densi e penetranti, or semplici come annotazioni, or delicati e leggeri, mai approssimativi" ("L'Ambrosiano" del 31 dicembre 1923). Dal 1924, per alcuni anni, in società con Lisetta Vianello Vedova Disnam, tenta una società artigianale con due scopi, la redazione di un libro illustrato su Venezia e scialli artistici (che esporrà con successo critico, non commerciale, alla Galleria Pesaro di Milano nel 1925). Grazie all'amicizia con Somarè, direttore della rivista "L'Esame" che ha la redazione presso la Bottega di Poesia, Semeghini viene in contatto con i giovani critici ed artisti milanesi, torinesi e romani. Amicizie che si estendono negli anni successivi con vari allestimenti di mostre cui Semeghini collabora e non solo come espositore: da Anton Giulio Bragaglia a Libero Andreotti, da Ottone Rosai a Emilio Malerba, Piero Marussig, Nino Springolo, Anselmo Bucci, Mario Sironi. Dopo due rifiuti (nel 1922 e nel 1924, avvenuti nonostante le raccomandazioni dell'amico di vecchia data C.E.Oppo e dello stesso Vittorio Pica), nel 1926 partecipa finalmente alla XV Biennale veneziana con tre oli, esposti nella sala XXVII insieme con Gino Rossi, Filippo de Pisis e Nino Springolo. Ugo Ojetti lo critica, Carlo Carrà lo loda. Carlo Bacchelli lo invita a far parte a Milano della "Tavola dei poeti" e Corrado Pavolini, anche a nome di Ungaretti, gli chiede di illustrare con Carrà e Soffici la "Antologia dei poeti italiani viventi". Confidando nel successo di quest'anno felice, tenta la scalata alla cattedra di pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Sembrerebbe avercela fatta, ma gli mancano validi appoggi politici e la spunta, invece, Virgilio Guidi. Semeghini, l'anno dopo, si dovrà accontentare della cattedra di decorazione al Regio Istituto d'Arte di Lucca dove, con grande fatica insegnerà per due anni. Nel 1927, Mino Maccari lo invita a far parte del gruppo de "Il Selvaggio"(Soffici, Carrà, Lega, Rosai, Morandi, Maccari, e, appunto, Semeghini) che esporrà a Firenze nell'estate del 1927. Amico di molti pittori della prima mostra di "Novecento" del 1926, tuttavia non vi partecipa; mentre partecipa alla XVI Biennale di Venezia del 1928, con quattro oli esposti vicini a quelli di Springolo, ed ha la soddisfazione di registrare i primi due acquisti ufficiali: La signora del melograno per la Galleria d'Arte Moderna di Venezia e Squero di san Trovaso sotto la neve per la Galleria d'Arte Moderna di Roma. Dopo aver partecipato alla seconda mostra di "Novecento", lascia l'Istituto d'Arte di Lucca e, chiamato dal direttore Balsamo Stella, entra nel corpo insegnante dell'I.S.I.A. presso la Villa Reale di Monza, dove insegna "Figura e copia dal vero di animali", avendo come colleghi Raffaele De Grada e Arturo Martini (che lascerà presto il posto a Marino Marini) . A Monza resterà fino al 1939; per un certo periodo tiene lo studio presso la scuola, poi in via Regina Teodolinda. Il periodo monzese-milanese, attraverso il salotto del medico-mecenate Ferruccio Zibordi e le occasioni che l'I.S.I.A. e la grande città offrono, è il più fervido di amicizie e di contatti: si trovavano, tutte le domeniche in casa Zibordi di via Bianca Maria, Diego Valeri, Vellani Marchi, Raffaele Mattioli, Riccardo Bacchelli, Ettore Gian Ferrari, Orio Vergani, Novello, Salietti, Steffenini. Un periodo più ricco di promesse che di realizzazioni, anche per la scarsa simpatia che Semeghini manifesta per l'ormai imperante fascismo (gli capita spesso di esser costretto dalla polizia a lunghe permanenze domestiche come sorvegliato speciale). Nel 1930, a Burano, dove si reca ogni fine estate, conosce Gianna Zavatta, giovanissima: se ne innamora in un giorno, il 31 ottobre, e le chiede di sposarlo mentre, la sera, la accompagna alla stazione. Gianna accetta. Si sposeranno esattamente un anno dopo a Verona, testimoni il direttore de "L'Arena" Antonio Galata e il pittore Guido Trentini, dopo che era riuscito a vendere per 10.000 lire una copia delle Nozze di Bacco e Arianna di Tintoretto ad un appassionato collezionista svizzero. Nel 1931 partecipa, su invito, con cinque oli alla "Prima Quadriennale Romana": la giuria gli assegna il primo premio di 100.000 lire.Felice Carena pone il veto con la motivazione che Semeghini non era "fervente fascista"; così Pio, quando già arrivavano i telegrammi di felicitazione, dovette accontentarsi di un quarto premio di 10.000 lire insieme con Aldo Carpi, Gisberto Ceracchini, Filippo de Pisis, Giorgio Morandi e Carlo Socrate. Il primo premio andò invece ad un "fervente fascista" nella manica di Margherita Sarfatti: Arturo Tosi. La critica ebbe comunque grandi parole di elogio per l'arte di Semeghini, riconosciuto caposcuola dei giovani pittori veneziani (Francini e Carrà); stimato e citato anche sulla stampa estera ("Reise und Wintersport" di Vienna del 27.11.1931). Agli amici si aggiungono ora Giuseppe Marchiori e Diego Valeri, che firmeranno a due mani più di un intervento per Semeghini, ed Orio Vergani che seguirà pittore specialmente nel secondo dopoguerra. Nel 1932 partecipa con successo di critica (Carrà, Francini, Somaré‚ Valeri, L. Vitali) alla XVII Biennale di Venezia, esponendo nella sala XXXIV 11 oli, insieme con Vagnetti, Chessa, Di Cocco, Usellini e Vigni. Intorno alla sua pittura, sulla scorta di scritti e saggi, più o meno controllati, di Barbantini, Marchiori, Diego Valeri, Ugo Nebbia, Francini ed altri, inizia a crearsi il mito di Burano: l' isola dove Semeghini torna tutte le tarde estati a dipingere, spesso ospite in casa Moggioli, ma dove soprattutto Vellani Marchi tenta la fortuna turistico-artistica. Il 1933-1934, ed in parte anche gli anni successivi fino al 1938, sono un periodo non felice, nonostante proprio nel 1933 esca la monografia a due mani, Giuseppe Marchiori - Diego Valeri:"Disegni di Pio Semeghini" per la editrice L'Orto di Bologna. Più volte Semeghini si lamenta con Marchiori dell'abbandono e della dimenticanza che lo emarginano e gli disconoscono i meriti che sa di meritare. Intanto sulla rivista di Genova "Espero", Marchiori definisce, per la prima volta in modo critico e filologico lo spessore della ricerca artistica di Semeghini, situandola al di là dell'impressionismo (è Cézanne il vero maestro), da cui pure deriva frutti e forme, in un ritorno, attraverso lo sfavillio settecentesco, alle grandi matrici della pittura umanistica e rinascimentale veneta. Passa sotto silenzio stampa la partecipazione con tre oli nella sala XXXVIII alla XIX Biennale di Venezia, insieme con Tommaso Cascella, Primo Conti, Mario Mafai, Emilio Notte e Vellani Marchi. Solo Soffici ricorda Semeghini e lo pone fra i tre più grandi disegnatori che vi siano attualmente in Italia: Mino Maccari, Amerigo Bartoli e, appunto, Pio Semeghini. L'anno seguente, Marchiori continua la precisazione filologica della pittura di Semeghini con un fondamentale articolo sul "Corriere Padano". Semeghini non partecipa né alla Biennale veneziana del XL anniversario, né alla Seconda Quadriennale Romana: forse preso troppo dall'insegnamento, profondamente amareggiato per l'incomprensione che avverte intorno a lui e al suo lavoro. Va meglio alla XX Biennale Venezia del 1936: sei oli e due cartelle di disegni (che non compaiono in catalogo); tre oli furono acquistati: Il Lambro e Paesaggio in Brianza dalla Banca Nazionale del Lavoro, Natura morta dalla Società Adriatica di navigazione. Solo Carrà, questa volta in modo fuggevole, si accorge della presenza di Semeghini. Il resto della critica lo ignora. Lo riscopre invece sul "Meridiano di Roma" (17 gennaio, p.III del 1937) Gino Severini, ricordandolo fra i grandi pittori europei del secolo, accanto ad Antonio Mancini, Balla, Spadini e Tosi. Nel 1938, a conclusione di alcuni anni di riflessione, Giuseppe Marchiori gli dedica una prima monografia sufficientemente completa su "Emporium" (Anno XLIV - vol.XXXVIII n.523 - luglio 1938, pp.17-28 e 16 illustrazioni in b\n):con gli articoli di Umbro Apollonio (1948), Raffaele Carrieri (1949) Licisco Magagnato e Carlo Ludovico Ragghianti (1956), una delle rare, serie e complesse riflessioni su Semeghini, cui si possono aggiungere gli sforzi di buona volontà critica del poeta Diego Valeri (ad es. su "Il Convegno", anno XIX n.8-10 p.283-296, 1938). In quest'anno inizia e completa, probabilmente, l'anno successivo, il grande affresco al palazzo di Giustizia di Milano:Cristo legislatore e l'esecutore della legge,(cm.490x480). A Milano si è intanto trasferito, andando ad abitare in v.le Monza, 44: è una necessità professionale per essere vicino ai gruppi più attivi, come quello di "Corrente": anche se Semeghini non espone alle loro mostre e non partecipa al gruppo, sono significativi i riconoscimenti che la giovane rivista per due volte dà al non più giovane maestro:"Di alcuni pittori la cultura d'arte in Italia non conosce abbastanza l'esistenza. Così di Pio Semeghini la cui sensibilità di disegno e leggerezza di tocco servono meravigliosamente al suo delicato amore delle cose"(" Corrente di vita Giovanile", 31 gennaio 1938). E per poter trovarsi, magari, con più facilità al caffè Cova(angolo via Manzoni\via Verdi) dove c'erano Martini, de Chirico, Tosi, Salietti, Funi, De Grada; e a cena - soldi permettendo - alla "Trattoria Toscana" di via Bagutta, per assistere allo scopone scientifico Carrà\Messina\De Grada\Gian Ferrari. Il ritorno delle grandi soddisfazioni avviene l'anno seguente con il Premio Bergamo, la sala personale alla "Terza Quadriennale Romana" e la mostra personale di marzo alla Galleria V.E. Barbaroux a Milano: spira l'aria nuova della sinistra intellettuale ispirata da Bottai, e Semeghini ne fa subito tesoro. Non si conserva il catalogo della personale alla Galleria V.E. Barbaroux, inaugurata il 2 marzo. Nella sala XXII della "Terza Quadriennale d'Arte" di Roma Semeghini espone 21 oli, con buon successo di vendita ed ottimo di critica, tutta positivamente concorde, persino Ojetti: l'unico discorde è E. Pensabene sul foglio ultrafascista "Il Tevere": scandalizzato che Carrà, de Chirico, Rosai e Semeghini abbiamo avuto tanto spazio alla Quadriennale e sulla stampa. Con l'olio Chioggia (che sarà esposto nella sala XVII insieme con Laguna veneta ) Semeghini vince a Bergamo il primo premio di 20.000 lire. Infine è nominato membro della Reale Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, presidente Felice Carena, che, ora, ha cambiato parere su Semeghini. La relativa tranquillità economica gli permette di lasciare l'insegnamento all'I.S.I.A. Come per tutti, gli anni della guerra sono terribili: una sola mostra importante, a Torino, chiamato da Enrico Paulucci presso il Centro di Azione per le Arti: uno dei tanti voluti da Bottai insieme con l'Ufficio per l'Arte Contemporanea, per trovare consensi fra gli artisti e gli intellettuali, e perché era ministro meno cieco dei colleghi. Pio espone 39 oli e dieci disegni, presentato in catalogo da Guglielmo Pacchioni con un lettera di Ardengo Soffici. Nell'inverno 1942\43 Pio e Gianna si trasferiscono da Milano a Verona. Durante le estati, guerra permettendo, Semeghini trascorre lunghi periodi a Burano: gli fruttano la serie della famosissime buranelle,dagli occhi che "non han visto gli orrori che succedono intorno"(come scrive Zavattini, che chiede, inutilmente, a Pio due miniquadri per la sua minigalleria). Sul finire della guerra è colto da una dolorosa e fastidiosa forma di Herpes Zoster che gli impedisce qualsiasi lavoro fino alla fine del 1946, primi del 1947. Con il 1946 riprendono le mostre, come quella al Naviglio di Cardazzo in via Manzoni,45 a Milano e le recensioni: soprattutto di Marchiori, che segue Pio da anni; cui si aggiungono due pittori, Juti Ravenna e Leone Minassian e l'amico di giovinezza Orio Vergani, entusiasta sostenitore di Pio: come giornalista contribuirà in maniera determinante a creare il mito dei buranelli e dell'isola di Burano, che Pio, a volte stizzito, cercherà più volte (l'ultima in un lunga intervista rilasciata a Paolo Rizzi il 24.4.1962 per "Il Gazzettino" di Venezia), invano, di riportare nei termini della correttezza storica e filologica. Nel 1947 è nominato membro della commissione di accettazione della XXIV Biennale veneziana, insieme con Barbantini, Carrà, Casorati, Longhi, Marini, Morandi, Ragghianti, Varagnolo, Venturi e Pallucchini, segretario generale. Il lavoro come commissario, per questa edizione, poi come "consulente" per la XXV e la XXVI, contribuirà più che alla fama di Semeghini a procurargli fastidi, scenate ( famosa quella con Rosai nel 1952), dispiaceri e perdite di tempo. Dimostrerà ancora una volta il rigore morale e professionale di Semeghini che, contrariamente a Carrà e Morandi, non volle la sala personale alla XXIV Biennale (si accontentò di esporre 6 oli nella sala XXVII insieme con Guidi, e le litografie di de Chirico) e si oppose alle pacificazioni fasulle (richieste da Oppo e Maraini). Nello stesso 1947 è nominato presidente regionale per il Veneto dell'Associazione Artisti d'Italia. Ragghianti sta lavorando ad una monografia per Semeghini (con una ottantina di illustrazioni fra colore e b\n) che non vedrà mai la luce anche per colpa di Pio: stanco, preoccupato, troppo preso dalla Biennale e non ancora in buona salute. Nel 1948 in gennaio la Galleria Sandri di Venezia organizza la prima antologica di Semeghini del dopoguerra, con testo critico di Marchiori; Apollonio, Breddo e Branzi scrivono ottime recensioni sull'esposizione. Nel 1949, su indicazione di Vergani (che lo segue passo a passo con frequenti interventi su "Il Corriere della Sera"), gli viene assegnato l'allora prestigioso ( e consistente,800.000 lire) "Premio Ines Fila delle Tre Arti": la giuria era formata da Marziano Bernardi, Leonardo Borgese, Achille Funi, Giacomo Manzù, Michele Saponaro, Leonida Répaci ed Orio Vergani: la vittoria, cui seguiranno mostre fra Milano e Biella, sede del premio, diede a Semeghini fama popolare, grazie a numerosi, e sempre più frequenti, interventi sulla stampa, sia specializzata che di larga divulgazione: da ora, e fino alla morte, i mass-media (stampa, radio e televisione) seguiranno il lavoro, ed anche la vita privata (non sono rare le interviste alla signora Gianna) di questo pittore che, per molti, sembrava sbucare dal nulla. Nel 1950, si dimette dalla commissione della Biennale veneziana (lo sostituisce Giuseppe Fiocco) ed espone con una personale alla XXV edizione nella sala XXXIII, con 43 pitture ordinate da Barbantini e presentate da Rodolfo Pallucchini. In quello stesso anno, nella collana "Galleria" dell'editoriale Periodici Italiani di Milano, diretta da Orio Vergani, Giuseppe Marchiori firma la presentazione di una monografia dedicata a Semeghini, contenente 37 illustrazioni. L'anno seguente la mostra più importante è quella presso la Galleria Gian Ferrari di Milano, con presentazione in catalogo di S. Solmi: la stampa più volte annota che Semeghini è pittore famoso, ben recensito e "ben comprato". Si è dimesso dalla Biennale di Venezia, ma ha accettato di presiedere la giuria di accettazione della più antica, anche se meno nota, Biennale d'Arte di Verona, dove la sua severità è ancor oggi ricordata: mediamente faceva scartare i tre quarti o i quattro quinti delle opere a concorso; così per i Premi Burano o le altre giurie dove venisse chiamato a presiedere o a collaborare. Si comportava con gli altri come si comportava con se stesso:"Semeghini preferisce non dipingere piuttosto che dipingere senza amore - annotava Marchiori nella monografia del 1950 - senza quella simpatia, quel calore dell'anima, che significano partecipazione alle cose: e questo è il suo segreto, questo è il suo mistero". Il 1953 e il 1954 sono anni di lavoro e di fatica, ma anche di soddisfazioni: si sta preparando a Verona, a cura di L. Magagnato e C.L. Ragghianti, la prima completa antologica. Nel 1954 partecipa nella sala V con cinque opere alla XXVII Biennale e, poco prima, gli viene assegnato dalla presidenza della "Mostra Nazionale Premio del Fiorino" di Firenze il "Premio Nazionale degli Orafi" (300.000 lire) per l'opera Lucia; infine riceve l'invito ad esporre alla collettiva di artisti italiani al Museum of Modern Art di New York, ordinata dal direttore Hereward Lester Cooke; gli altri artisti prescelti sono Afro, Capogrossi, de Pisis, de Chirico, Carrà, Morandi, Prampolini, Santomaso e Tosi. La sua fama è tale che, se ritarda ad inviare opere a collettive nazionali (come ad esempio accade per la "Settima Quadriennale Romana"), i responsabili, in questo caso Fortunato Bellonzi, non si stancano di insistere con lettere e raccomandazioni tramite amici. Nel 1955 vince il "Terzo Premio di Pittura Esso - Viaggio in Italia" (patrocinato dalla Biennale di Venezia, con la seguente giuria: G.C.Argan, Giuseppe Marchiori, Rodolfo Pallucchini, Guido Piovene, Marco Valsecchi) con Paesaggio lagunare, che gli frutta un milione. Il secondo premio viene assegnato a Vedova; ad Ajmone, Corsi e Scialoja i terzi premi. Il 1956 si può considerare l'anno speciale per Semeghini: la grande antologica da 1°l settembre al 4 novembre alla Gran Guardia di Verona (la mostra si sposterà il 10 novembre a Venezia alla Bevilacqua La Masa e a Palazzo della Permanente di Milano fino al gennaio 1957), curata da L. Magagnato e C.L. Ragghianti, presenta attraverso 105 oli, sette incisioni e 56 disegni, il percorso completo di Semeghini; tutta la critica interviene e "La Fiera Letteraria" del 18 novembre gli dedica tutto il paginone centrale. Chi non è potuto andare all'inaugurazione si premura di scrivergli lunghe e affettuose lettere di scuse (Cardarelli, Ungaretti,Nebbia); fra i commenti, il più importante storicamente credo sia quello contenuto in una lunga lettera di Renato Birolli del 15 ottobre (da me pubblicata, insieme con la lettera del 12 novembre 1958, sulla "Rivista di Critica e Arte" a.I, n. 3, giugno 1994, Roma) in cui l'artista veronese riconosce in Semeghini la "sapienza e la solitudine del padre" della sua "generazione... difficile, contestata, ma coraggiosa..." e conclude:"Quindi, è lei, la sua opera, che hanno vinto. Rendergliene atto, oggi, è un dovere, al di sopra della personale simpatia e ammirazione. Gradisca, caro Maestro, il più sentito ringraziamento e un abbraccio." Birolli ribadirà questo significativo riconoscimento e questa ammirazione in un'altra lettera a Semeghini del 12 novembre 1958, pochi mesi prima della prematura scomparsa. A conclusione di un anno felice, il presidente del Consiglio dei Ministri gli consegna la Medaglia d'oro dei Maestri della Pittura e della Scultura. Dal 1957 al 1959 - ultimo anno di pittura per Pio che, nella primavera del 1960 si lussò l'omero destro e non poté più dipingere - i riconoscimenti ufficiali gli verranno un po' da tutte le parti, estero compreso come la medaglia d'oro della Kunstlerhaus Akademie di Vienna: unico pittore non austriaco a ricevere il premio. Nell'ottobre del 1957 è Lionello Venturi a scrivergli: "Caro Semeghini, l'invito a partecipare alla mostra della Columbia University non ha avuto ancora la tua adesione. Essa è troppo importante per l'affermazione di tutta la pittura italiana odierna, perché tu possa mancarvi. Non mi dire di no. Scegli tu stesso il quadro 1945-1957 che vuoi mandare, e insieme il titolo, le misure ed eventualmente una foto. Manderemo poi a ritirarlo. Affettuosamente tuo Lionello Venturi". Così Bellonzi, ancora una volta, ordinando l'edizione di un Dante illustrato dagli artisti italiani d'oggi, scrive a Semeghini "... Peccherei d'altronde, ben gravemente, nei confronti dell'esito felice di questo progetto, ove non tentassi di averLa nel numero degli artisti che illustreranno la Divina Commedia, tra cui Carlo Carrà, Massimo Campigli, Virgilio Guidi e Gino Severini". Dal 1960 alla scomparsa, si susseguiranno comunque le mostre, fra cui ricordiamo quella alla Galleria Gian Ferrari, alla Vinciana di Milano, la "Ottava Quadriennale Romana" (con successo di acquisti (Omaggio a Piero, 1.100.000; Zibaldone, 800.000; Peperone rosso, 600.000: per indicare alcuni prezzi di vendita). Risale al 1960 la dicitura Zibaldone, che Pio usa per indicare le nature morte (precisazione di Giorgio Mascherpa su "Gente" del 18 nov.1960,pp.64\65). Anche Ragghianti è costretto a sollecitare Pio per l'invio di materiale per un numero speciale di "Sele-Arte"; e così deve fare, ancora una volta, Lionello Venturi per il suo articolo sul supplemento di "Atlantich Monthley - Perspective of Italy" dal titolo "The new painting end sculpture - The Emergence of Abstraction" della primavera del 1960. Fra le ultimissime esposizioni, Semeghini vivente, ricorderei quella alla "Cavurrina" di Torino del 1962 e alcune collettive di prestigio a Firenze, Reggio Emilia, Milano, Venezia (per "50 di pittura veneziana" ordinata da Pietro Zampetti e Guido Perocco), Torino, La Spezia (organizzata da L. Magagnato), e le ultime sue due personali alla "Chiocciola" di Padova, su invito di Marina, figlia dell'amico carissimo Diego Valeri; alla "Saletta" di Mantova, presentato da Ragghianti e Marchiori. Fra i riconoscimenti, il più ambito è senza dubbio quello che, Maccari presidente, gli viene dall'Accademia di San Luca di Roma. L'ultima mostra in assoluto si tenne alla galleria "La Cornice" di piazza Brà, a Verona: una vera e propria antologica di disegni e tempere, per un totale di 46 opere, dal 1° al 10 febbraio 1964. Pio Semeghini si spense alle ore 20 dell'11 marzo:" Era appena rientrato dalla sua passeggiatina serale - ricorda Gianna - e vedendo la televisione accesa mi chiese quali erano i programmi; si adagiò sul divano, e lo colse improvviso un malore, l'ultimo malore ...". L'eco della morte del Maestro fece il giro della stampa nazionale ed internazionale, diffusa dalla notizia n.14 dell'ANSA. Delle numerose mostre postume bisogna ricordare prima di tutto la personale alla XXXII Biennale veneziana nella sala LXV: 61 pitture,sette disegni e due incisioni, con il testo di presentazione di L. Magagnato, cui si deve anche la vasta antologica ordinata a Palazzo Te di Mantova (dicembre 1978 - gennaio 1979); sempre nel 1964, a cura di Guido Perocco, con la presentazione di Pietro Zampetti, la "Mostra di disegni e incisioni di Casorati e Semeghini" al Museo d'Arte Moderna - Ca' Pesaro, dal giugno all'ottobre; la mostra ticinese ordinata nella primavera del 1974 da Sergio Grandini, presidente della Società Ticinese per le Belle Arti: "Pio Semeghini", 40 incisioni, 78 disegni e 76 oli (in catalogo saggi di Guido Perocco, Riccardo Bacchelli, Carlo Carrà, Virgilio Guidi, Licisco Magagnato, Giuseppe Marchiori, Piero Salati, Lamberto Vitali ed una nota biografica di Ugo Fasolo); la parte grafica del mostra andrà, sempre a cura di Grandini, a Campione d'Italia. La prima mostra postuma di disegni, però, si deve nel 1970 alla Galleria di Giorgio Ghelfi a Verona, di cui cura il catalogo L. Magagnato. Guido Perocco ha curato un "Omaggio a Pio Semeghini" per la Casa dell'Arte di Sasso Marconi nel gennaio del 1982 e L. Magagnato ha redatto la presentazione della mostra "Pio Semeghini - Opere scelte" alla Galleria Gian Ferrari di Milano, nell'ottobre del 1984. Mostre dedicate a Semeghini se ne sono ordinate molte altre, purtroppo non coordinate e preordinate, quasi sempre senza un catalogo delle opere esposte. Solo dal 1996 al 2007, si sono predisposte mostre antologiche a lui dedicate con catalogo delle opere esposte: “Pio Semeghini”, a cura di Francesco Butturini,catalogo edizioni d’arte Ghelfi, Verona, 14/28 febbraio 1996; “Il soggetto sacro nella pittura di Pio Semeghini” di Francesco Butturini in “Settima Biennale d’Arte Sacra” a cura di Giorgio Cortenova, presso la Fondazione Stauròs Italiana, San Gabriele, Teramo, 27 luglio – 20 ottobre 1996, catalogo Editoriale Eco, Teramo “Pio Semeghini” a cura di Francesco Butturini e Giorgio Cortenova, Verona, Palazzo Forti – catalogo Electa, 7 febbraio -13 aprile 1998 “Pio Semeghini – Disegni e incisioni “, a cura di Francesco Butturini, Pinacoteca Comune di Quistello, catalogo Grafica Ceschi di Quistello, marzo – aprile 1999; “Pio Semeghini” a cura Fondazione Pio Semeghini, presso Arte Padova Fiera, catalogo Grafiche Gemma, 2004 “Semeghini e il Chiarismo fra Milano e Mantova”, a cura di Francesco Butturini, Palazzo Te, Mantova, catalogo Silvana editoriale 11 marzo – 28 maggio 2006. Inoltre numerose presenze con singole opere in varie esposizioni, di cui l’ultima: “Venezia da Boccioni a Vedova, ‘900” a cura di Nico Stringa,Casa dei Carraresi, Treviso, catalogo Marsilio, 22 ottobre 2006 – 8 aprile 2007. La bibliografia più aggiornata si trova nella tesi di laurea di Roberta Bellato, relatore Guido Bartorelli, Università degli Studi di Padova, a.a. 2006/7; bibliografia ed elenco delle esposizioni aggiornato fino al 2007 in “Pio Semeghini” a cura di Francesco Butturini per la Fondazione Pio Semeghini, Padova gennaio 2008. Il materiale d’archivio da cui sono tratte le notizie (spesso redatte nei coloqui del sottoscritto con Gianna Semeghini Zavatta) e le indicazioni degli interventi critici è depositato presso la Fondazione Cariverona. Francesco Butturini